Koupor, 13 dicembre 2014
Carissimi Amici,
c’è qualcosa nel mistero del Natale che, allo stesso tempo, mi attrae e mi respinge: la povertà (quel terribile: “per loro non c’era posto”) e la debolezza espressa da quel bambino appena nato (quanti bambini muoiono nei primi giorni e nei primi mesi di vita!).
Dio si rivela (si fa conoscere, ci incontra) in questo “spazio vuoto” che è la povertà. Se vogliamo trovare il Signore, è solo là che possiamo cercarlo.
Io mi rendo conto, sempre più, di non essere povero: c’è un abisso tra me e i poveri (la stragrande maggioranza delle persone che incontro). Se voglio cercare la mia povertà, devo guardare tra le mie relazioni, le mie paure, la mia fede… Questa visione m’inquieta, cerco di nasconderla, penso che non possa portare niente di buono e che, soprattutto, non possa essere assolutamente il luogo di un incontro.
Eppure Dio ha bisogno di questo “vuoto” per incontrarmi.
M’impressiona sempre il vuoto, o meglio: il niente, che riempie le capanne di certe povere persone che visito.
“L’orrore del vuoto” che i classici attribuivano alla Natura (facendone quasi una legge della fisica), di fatto sta nel profondo dell’uomo che nasconde e si vergogna della propria povertà. In questa tenebra Gesù, nascendo, fa risplendere la sua Luce. Entrando in questo vuoto, non lo riempie, ma lo rende abitabile a noi e a lui, diventa il luogo dell’Incontro.
Una delle tante cose che non riesco a capire di Dio, è la sua debolezza. Vorrei che fosse una finta, un trucco, un mezzo per un fine ben diverso… ma mi sembra sempre più che non lo sia. Come può Dio essere un bambino appena nato? Questa debolezza inizia nella mangiatoia di Betlemme – spesso raffigurata nelle icone orientali già come una tomba! – e si compie nel corpo morto tra le braccia della madre ai piedi della croce. Come può Dio essere – credo che lui non possa semplicemente accettarla, tanto meno subirla (forse sbaglio) – tutta questa debolezza? A volte mi viene il dubbio che la debolezza sia costitutiva, essenziale, della realtà. Forse penso e scrivo questo perché quest’anno sono morte diverse persone che ho conosciuto nella mia vita missionaria, forse perché faccio sempre più fatica a credere alla corsa irreversibile e inesorabile del Progresso, forse perché vedo il tempo passare sul mio corpo…
Stranamente, per me “straniero”, è proprio nei momenti di debolezza che le persone si fanno più vicine, si sentono (sono) più vicine a me. Questo accade ogni volta che mi ammalo, che vivo un lutto, che ho un problema…
Forse Dio, per essere meno “straniero” – o perché non ci è proprio “straniero” – abita la debolezza, quella che ci è così con-naturale! Il Dio-con-noi non poteva che essere debole, altrimenti non sarebbe mai stato davvero con-noi.
Una bella cosa da queste parti è che quasi nessuno si sente solo, tanto meno abbandonato. È bello avere sempre qualcuno al proprio fianco nei momenti felici ma soprattutto in quelli difficili della nostra vita.
Strani questi come auguri di Natale… Qualcuno penserà che abbia preso una piega un po’ dark o che sia semplicemente un po’ depresso… In effetti i “messaggini” che ricevo nei giorni di Natale mi augurano tutti salute, successo, prosperità, felicità… pace! Niente paura: sto benissimo a parte l’harmattan (il vento del deserto) che porta con sé freddo (si scende anche a 16° di notte!) e tantissima fastidiosissima polvere.
Vi auguro semplicemente di accogliere nella gioia il Dio-con-noi che viene, anzi, è già là!
Buon Natale! Un abbraccio a tutti, d Giulio